Il Bag in Box 

Il Bag in Box 

Il Bag in Box  è un contenitore per liquidi alimentari inventato e brevettato negli anni ’50 negli USA.  E’ formato da una scatola (BOX) solitamente di cartone, ancor meglio se riciclato, di varie forme e misure che serve per proteggere e contenere una sacca alimentare (BAG) con termosaldato un rubinetto per l’erogazione: quest’ultimo è il “cuore” di questo contenitore innovativo perché permette la fuoriuscita del liquido ma non l’ingresso dell’aria.
L’utilizzo di questo contenitore per il vino è cominciato in anni abbastanza recenti, inizialmente per il mercato Nord Europeo e successivamente anche in Italia dove la sua penetrazione è stata all’inizio complicata da fattori di tradizione (legata ovviamente all’uso delle bottiglie in vetro per il “nettare di bacco”) e di diffidenza: spesso in questi contenitori sono stati confezionati vini di basso e bassissimo livello.
Scelta ben diversa da quella di Turàs – Cantina Liquida, che seleziona esclusivamente piccole realtà agricole e artigianali che lavorano nel rispetto della vite, del prodotto e dell’ambiente riducendo al minimo l’utilizzo di pesticidi e additivi.

Ma quali sono i vantaggi del BiB?

  • la sacca viene colmata di vino senza che l’aria rimanga al suo interno e durante lo svuotamento, grazie allo speciale sistema di cui è fatto il rubinetto e alla flessibilità del materiale della sacca, esce solo il liquido senza che l’ossigeno penetri. In questo modo si elimina la possibilità dell’ossidazione  e dalla presa di “spunto”, tipici problema che si riscontra invece nel vino conservato nelle bottiglie aperte.  Quindi il Bag in Box risulta ad oggi il miglior contenitore sul mercato per i vini di uso quotidiano, permette di mantenere sempre il vino “pronto all’uso” anche per un consumo saltuario e sporadico.
  • Per quanto riguarda la scatola (il Box) anche qui i vantaggi sono innumerevoli. Protegge il sacco dallo schiacciamento dagli urti e dai tagli, è impilabile protegge il vino dagli sbalzi di temperatura e dalla luce e non ultimo è un’ottima soluzione per le spedizioni con i corrieri che per quanto riguarda la spedizione delle bottiglie obbligano ormai ad imballi speciali e molto costosi.
  • I benefici “pratici” dove li vogliamo lasciare? Un cartoncino riciclato e una busta riciclabile rispetto a 6 bottiglie munite di tappo? Così come l’ambiente, che può solo ringraziare!
  • Veniamo infine ai formati: per il vino i 2 più usato sono il3 litri e il 5 litri che corrispondono rispettivamente a circa 4 bottiglie e 6 bottiglie di vino, adattissimi ad un “uso domestico” .

 

Come si usa il bag in box?

L’utilizzo del bag in box è molto semplice.
Per aprire e rendere operativo il bag in box è necessario rimuovere il dischetto di protezione, ricavato dal cartone perforato.
Una volta rimosso il dischetto prendere il rubinetto e portarlo in posizione corretta (esterno al bag in box e ben orientato).
Non resta che posizionare il bag in box in una posizione che dia spazio a bicchieri e brocche.

Premendo il pulsante posto nella parte superiore del rubinetto, il vostro bag in box spillerà la quantità di vino desiderata.

 

I BiB di Turàs si conservano anche per un anno da chiusi, basta che riposino in luogo fresco e asciutto.

La forma del bag sta perfettamente nel frigo! Questo è il modo più corretto per conservarlo da aperto: dipende dalla tipologia, ma generalmente per due mesi rimane perfetto e inalterato. Gli Spirits invece durano circa 4 mesi dall’apertura.

Avrete capito che il BiB è il contenitore perfetto per i vini naturali!

Ma attenti! Non ama gli sbalzi termici.

 

I solfiti nei vini e le scelte di Turàs

I solfiti nei vini e le scelte di Turàs

Se ne sente parlare spesso ma difficilmente si fa chiarezza, anche perché a tanti nel settore del vino fa comodo così.

Responsabili di allergie e di fastidiosi mal di testa, sono tra gli additivi più chiacchierati: stiamo parlando dei solfiti, composti chimici derivati dallo zolfo, presenti naturalmente in molti alimenti e che altrettanto naturalmente vengono prodotti durante la fermentazione delle uve.

Il vino senza solfiti, dunque, non esiste.

Alcune curiosità:

  1. I vini bianchi hanno mediamente più solfiti rispetto ai vini rossi.
  2. I vini passiti (e quelli dolci in generale) sono quelli che contengono più solfiti in assoluto.
  3. Nei vini rossi, specie se invecchiati, il livello di solfiti è mediamente piuttosto basso.
  4. Parte dei solfiti svaniscono nell’istante stesso in cui si apre la bottiglia.

Perché vengono utilizzati questi composti?

I solfiti vengono usati come conservanti e si trovano non solo nel vino, ma anche nella frutta secca, nel pesce congelato, e in tanti altri alimenti. Tutti gli additivi indicati con le sigle comprese tra E220 ed E225 sono solfiti. Il loro scopo principale è rallentare lo sviluppo dei microbi e il corretto mantenimento dei prodotti; non provocano effetti gravi nell’immediato, a meno che non si sia allergici, se non mal di testa e di stomaco, ma possono portare problemi se si accumulano nel nostro organismo (cosa del tutto normale visto che il vino è bevanda quotidiana). Nei casi più gravi possono portare anche a broncospasmi, specie nei soggetti asmatici.

Nella produzione di vino si utilizza l’anidride solforosa che seleziona le cariche batteriche. È grazie ai solfiti che i vini si conservano mantenendo intatte le loro caratteristiche: un uso moderato, secondo la stragrande maggioranza degli enologi, ha un impatto positivo sulle qualità del prodotto e non dà problemi al consumatore, come dice la legge:

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ne indica la Dose Giornaliera ammissibile in 0,7 mg/kg di peso corporeo.

La normativa fissa il limite massimo di 200 mg/l per i vini bianchi e di 150 mg/l nei vini rossi, che riguarda la solforosa totale.

In regime biologico i limiti scendono rispettivamente a 150 e 100 mg/l.

Dunque i solfiti servono oppure no? Fanno male o sono tollerati? Ognuno può farsi la sua idea.

Per noi è importante che l’anidride solforosa venga impiegata esclusivamente in fase di imbottigliamento, come funzione antisettica e antiossidante, prevenendo lo sviluppo e la moltiplicazione di microorganismi indesiderati e riducendo i rischi legati all’ossidazione del prodotto nel tempo. Aggiungerla nel momento di arrivo delle uve in cantina significa invece considerare “indesiderati” i lieviti indigeni presenti sulla buccia del frutto, necessari invece per produrre un vino realmente sincero e territoriale.

A nostro avviso, meno solforosa c’è nel vino, meglio è per la salute del consumatore, per la qualità e tipicità del prodotto, a patto che a guidare la produzione ci sia uno staff “con il manico”.

Monitoriamo dunque la presenza dei solfiti, ma non facciamone un’ossessione.

E’ sempre la quantità a fare il veleno.

BERE IN MANIERA SANA E’ POSSIBILE, e i fattori da considerare non sono solo legati alla solfitazione. La gestione della vigna, del terreno e di tutte le variabili possono influire anche in modo più sensibile sul prodotto.

Ne parleremo nei prossimi articoli.

Ciò che importa sapere è che le cantine che scegliamo per voi, sia per il vino sfuso che per quello “etichettato” (a prescindere dalle certificazioni a lotta integrata, biodinamiche, naturali, biologiche etc) lavorano con una quantità di solfiti ampiamente al di sotto delle regolamentazioni previste dalla normativa, fino ad arrivare anche a prodotti “senza solfiti aggiunti”, con una quantità minore o uguale 10 mg/l.

Alla salute!

Turàs – Cantina Liquida